La “diligenza del buon padre di famiglia” è un concetto di diritto privato, mutuato dal diritto romano che, nel tempo, ha assunto una portata di gran lunga maggiore di quella iniziale, limitata ai rapporti obbligatori.
Nel linguaggio comune, infatti, è penetrato l’uso di richiamare la diligenza del buon padre di famiglia anche per gli amministratori pubblici.
Domanda: Quando un padre di famiglia si rivela “buono” e usa la necessaria “diligenza”?
Quando, contraendo un debito con chicchessia, si preoccupa, giustamente, di investire la somma presa a prestito in una attività produttiva di reddito che lo aiuti, con un maggior reddito, a sdebitarsi. La stessa linea dovrebbe seguire, secondo logica, un amministratore pubblico.
Nel caso specifico dell’Italia odierna, se e quando i quattrini del Recovery fund arriveranno in Italia, pure e soprattutto con il rischio di essere decimati dalle spese necessarie per contenere l’incalzante crisi energetica, il buon padre di famiglia nelle sue vesti di capo del governo dovrebbe procedere a utili investimenti e non disperdere il “peculio” in bonus, sussidi e redditi di varia denominazione che oltrettutto, favorendo una vita senza attività lavorative, impongono il ricorso agli immigrati sulle cui paghe e relativi contributi si pensa di continuare a finanziare l’attività di previdenza e assistenza.
In altre parole, la diligenza del buon padre di famiglia e dell’oculato amministratore pubblico è fondata sull’uso del raziocinio e deve tenere nella dovuta considerazione anche i disastri che l’irrazioalità ha prodotto in altri Paesi.
In Svezia, per esempio, la politica dei redditi ai nullafacenti o studenti per un’intera vita e quella (a causa della prima necessitata per il mantenimento in vita della previdenza e dell’assistenza) dell’immigrazione non contenuta, mi ha fatto scrivere in un libro che quel Paese non è più un Paese per i bianchi (così come i fratelli Coen dicono che l’America, per la violenza imperante, non è più un Paese per i vecchi).
Un viaggio nel Paese scandinavo per constatare che in alcune zone della città la Polizia non si azzarda più neppure soltanto a entrare e che le mafie multirazziali sono ben più feroci di quelle indigene potrebbe essere utile agli Italiani per capire in quale burrone l’irrazionalismo luterano e socialcomunista ha condotto il Paese.
Ciò detto, resta certamente condannabile il tentativo dell’attuale Presidente del Consiglio di “fuggire” da palazzo Chigi per sedere sulla più comoda e stabile poltrona del Quirinale, ma si può anche capire che egli, dopo essere stato osannato come “salvatore della patria” e considerato da Bruxelles un prezioso “agente all’Havana” si trovi oggi a dirigere un’armata Brancaleone che non può aiutarlo ad andare da nessuna parte.
La Sinistra gli tirerà la giacchetta per redditi e bonus; la Destra, se vi sarà ancora, cercherà di condurlo su disastrati sentieri “celtici” o baldanzosamente “neo-fascisti”; il Centro, che tenterà di sorgere, in mancanza di liberali “veri” (quelli che ci sono, dispersi sotto varie etichette, si dicono figli dell’hegelismo di Gentile e di Croce e non rifiutano neppure l’ossimoro di cattolici-liberali) sarà solo una brutta riedizione della Democrazia Cristiana.
L’irrazionalismo ancora una volta dominerà la scena e un’assordante sarabanda di suoni si riverserà sulla platea. Ma potrà dolersene un direttore d’orchestra che al Liceo Massimo di Roma ha assimilato tutte le incongruenze irrazionali di cui ci ha dato un’esemplificazione il Pontefice, come lui convinto gesuita, nel suo discutibile show televisivo con il mellifluo Fazio?
Luigi Mazzella