Prima di procedere allo studio comparativo tra gli insegnamenti di Osho e quelli di Omraam, facciamo una breve conoscenza con quest’ultimo: di Osho ho già parlato in alcuni precedenti articoli. Omraam Mikail Dimitrov Ivanov, fu un filosofo e pedagogo bulgaro, nato nel villaggio di Srpci, in Macedonia, il 31 gennaio del 1900 e morto a Bonfin, in Francia, il 25 dicembre del 1986.

Le condizioni economiche della sua famiglia erano alquanto modeste. Si formò nella “Scuola bulgara” di Peter Deunov, fondata nel 1922, di tradizione spiritualistica giudaico-cristiana e universalista. Come Osho, tenne parecchi convegni (la ragguardevole cifra di 4.500), trascritti in 32 volumi tradotti in 35 lingue. Il suo sistema filosofico e pedagogico è finalizzato alla costruzione di una coscienza di fratellanza e unità universali tra i popoli, indipendentemente dalle loro religioni e tradizioni. Viaggiò molto in India, dove conobbe parecchi Maestri spirituali. Fondò una Scuola Spirituale aperta a tutti i cui metodi servono per raggiungere l’obiettivo appena detto sopra, tra cui il “Surya Yoga”, che lo hanno reso famoso nel mondo dello Yoga.
Nei suoi convegni, essenzialmente, parla di legge di causa ed effetto, per cui l’attuale vita che conduciamo è causata dalle nostre azioni passate, in questa o in altre incarnazioni, e che tutto si deve scontare fin quando non esauriamo tutti i nostri debiti. Se sono azioni inique, malvagie, egoiste, accumuleremo Karma, cioè punizioni per gli errori del passato. Se sono azioni buone, pure e disinteressate si avrà il Dharma, cioè premi come la felicità, la gioia e la liberazione dalle stesse reincarnazioni. Da ciò si comprende come tutto ciò che facciamo, ma anche che pensiamo o sentiamo, si ripercuoterà inevitabilmente sulla nostra esistenza, in questa incarnazione o nelle prossime. Quindi, comportarsi individualmente bene con gli altri, favorisce l’obiettivo di creare armonia e fratellanza universali, senza pregiudizi religiosi, culturali e razziali.
Omraam dice anche che siamo soggetti a un destino implacabile, deciso nelle Sfere Celesti che sono governate da un’intelligenza cosmica. L’unica libertà che l’uomo ha di sfuggire a tale destino è smettere di agire privo di volontà, secondo i propri istinti, quindi inconsapevolmente come gli animali e le piante, e avviare un lavoro spirituale su se stesso di meditazione, di amore, di bontà e compassione, che lo conduca a piani superiori. In questo modo si sarà soggetti alla Divina Provvidenza, un destino più elevato. Si tratta comunque sempre di destino, che, per definizione, non lascia spazio al libero arbitrio raccomandato da Omraam. Dunque come sfuggire a tale implacabile destino? In ciò si ravvisa un’implicita contraddizione. Inoltre, Omraam afferma che il lavoro interiore non influirà direttamente su questa vita, ma preparerà un terreno piùagevole per la prossima reincarnazione, e molti si chiederanno a che pro?, dato che nessuno può avere la certezza che esista la metempsicosi. Comunque, i principi, in generale, sono simili a quelli sostenuti da Osho, è cioè, vivere in maniera sempre più consapevole e in armonia col mondo e con noi stessi; però non è confortante come l’evoluzione interiore prospettata da Osho, raggiungibile attraverso la meditazione e i cui effetti si possono riscontrare anche nell’immediato, nel presente, se praticata bene e con costanza, creando in tal modo anche le basi per future incarnazioni spiritualmente più elevate.
Omraam poi parla di leggi naturali e morali da rispettare se si vuole vivere in armonia con le Sfere Celesti e accumulare Dharma. Ci sono esseri rari, predestinati dal Consiglio dei Ventiquattro Vegliardi, che sono puro amore e vivono sempre in armonia con tali leggi morali, per cui tutto ciò che fanno è per il bene. Ciò equivale a dire che per quanto ti sforzi di essere puro amore, se non sei un prescelto da questo misterioso Consiglio, non puoi divenire puro amore. Ancora ciò contraddice il principio del libero arbitrio di Omraam. Osho, invece, afferma che chiunque, attraverso la meditazione, può divenire un Dio, puro amore, senza predestinazione alcuna. Bisogna solo essere dei ricercatori del vero, dei sannyasin, come si chiamano i suoi discepoli. Omraam chiama i suoi: iniziatici.

Per Osho Dio non è un’entità esterna all’individuo, bensì è situato dentro ogni uomo che deve solo cercarlo, attraverso la meditazione e lo sviluppo della propria consapevolezza, per divenire esso stesso un Dio. Ne consegue che solo l’individuo è responsabile di se stesso, per cui non serve pregare entità separate mentre conta solo il lavorare su se stessi. Per Omraam invece Dio è il Creatore, un’entità esterna e separata dall’uomo, da pregare, da adorare e a cui rivolgersi per ottenere la sua stessa perfezione, secondo la legge delle corrispondenze. In ogni caso, al di là delle due diversissime culture spirituali, l’obiettivo è lo stesso, e cioè: Dio. Cambiano solo il concetto e i mezzi per raggiungerlo. Questa diversità concettuale e di mezzi, implica che col primo, l’individuo si responsabilizza di più, col secondo avviene invece una sorta di deresponsabilizzazione della persona, per cui, in fondo, tutto ciò che le accade non è totalmente colpa sua ma un volere divino, un destino, a cui non si può opporre totalmente, se non con una ferma forza della volontà e della consapevolezza. Questo quasi fatalismo, cambia la prospettiva con cui l’individuo si pone nei confronti del mondo. L’inevitabile predestinazione secondo cui tutto è già scritto, destino o Divina Provvidenza che sia, induce le persone ad adottare un atteggiamento passivo nei confronti degli eventi. E poi, secondo quale criterio l’intelligenza Cosmica predestinerebbe gli individui?
Omraam è un credente, un religioso diverso dal concetto che invece Osho ha di religione, e di conseguenza parla di Paradiso, di Purgatorio, di Inferno, di Angeli e di Diavoli. La sua visione è vincolata alla morale giudaico-cristiana, da cui si distacca solamente riguardo alla credenza nella reincarnazione. L’insegnamento di Osho invece non è assolutamente assoggettato a nessun credo e a nessun compromesso, quindi è più vasto, libero ed estremo, e per ciò fortemente rivoluzionario. L’ampiezza e la libertà del suo pensiero lo porta inevitabilmente a scontrarsi con ogni istituzione e ogni credo che non siano esenti da ipocrisie e falsità. Falsità che egli scorge facilmente e inesorabilmente, ovunque si annidino, grazie alla totale libertà di discernimento, al suo essere assolutamente uno spirito libero e alla sua chiarezza mentale.
Io credo che anche Omraam sia un saggio, e anche se il suo insegnamento è meno estremo e impartito da una visuale più ristretta rispetto a quello di Osho perché influenzato dalla religione giudaico-cristiana, è comunque da considerare, dato che induce all’amore, al bene e alla pace. Egli, di cultura e morale cristiana, parla col linguaggio dei cristiani, facendosi anche ascoltare e capire da quelli più integralisti, laddove Osho, invece, da quest’ultimi è stato frainteso, perseguitato e in definitiva assassinato. E non credo che si possa parlare di furbizia da parte di Omraam e di ingenuità di Osho. Quando si è nello stato di illuminato, di saggio, non c’è calcolo o astuzia (che già Omraam stesso qualifica come non virtù); ma c’è soltanto spontaneità pura che si manifesta a partire da ciò che si è per formazione, per cultura e per educazione.
Omraam si è formato all’interno della morale giudaico-cristiana, Osho invece, fin da bambino, si è formato nella più assoluta libertà di spirito. Infatti, visse con i nonni materni che non gl’imposero assolutamente nulla, lasciandolo totalmente libero di agire e di pensare secondo la sua più autentica natura, specie nell’età più importante per la formazione di un carattere: l’infanzia.