Più vicini nei Comuni che a Roma. L’alleanza fra Pd e M5s corre su due binari.
A qualche giorno dal termine per la presentazione delle liste, fissato il 12 maggio, il patto giallorosso è cosa fatta nei quattro capoluoghi di regione – Genova, Catanzaro, Palermo e L’Aquila – e in diversi capoluoghi di provincia, come La Spezia, Verona, Taranto e Messina. «Al di là dei discorsi che si fanno – ha detto Enrico Letta – sul territorio il campo largo esiste e sta crescendo». Il 12 giugno, le urne saranno aperte in circa 950 comuni: 8 milioni e mezzo di elettori. «Nel 70% delle città che vanno al voto col doppio turno» il patto Pd-5s «è un punto fermo» ha spiegato Francesco Boccia, il regista delle alleanze per il Nazareno. Le tensioni però non mancano: «Mi fa piacere che in tanti comuni con il Pd andiamo insieme – ha puntualizzato Conte – ma noi abbiamo alcuni standard, come ad esempio sulla legalità, per cui ci sono alcuni comuni in cui non è possibile farlo». Letta non ha raccolto: «Io guardo gli argomenti che ci uniscono e sono tanti» . Dei 26 capoluoghi al voto, 20 sono a guida centrodestra.
«Questa è una tappa dolomitica – ha spiegato il segretario dem, dando il via alla campagna elettorale – con città tutte in salita. Siccome il gioco si fa duro, abbiamo deciso di affidarci alle donne». Nei capoluoghi, il centrosinistra schiera 9 donne candidate sindaco.
Stefania Pezzopane a L’Aquila, Piera Sommovigo a La Spezia e Alessandra Troncarelli a Viterbo sono sostenute anche dai Cinque stelle. Che invece hanno scelto un’altra strada o stanno ancora riflettendo riguardo le altre candidate di centrosinistra: Laura Fasiolo a Gorizia, Federica Fratoni a Pistoia, Patrizia Manassero a Cuneo, Barbara Minghetti a Como, Santa Scommegna a Barletta e Katia Tarasconi a Piacenza.
Ci sono poi le dinamiche al centro, con Azione che tendenzialmente non si allea al Pd quando corre col M5s e Iv che gioca una partita a sé in alcuni comuni. A Genova Matteo Renzi appoggia il sindaco uscente di centrodestra Marco Bucci, mentre a Palermo ha annunciato che non starà con Roberto Lagalla, se unirà Lega, FdI e FI. A Verona Iv punta su Flavio Tosi, mentre 5s e Pd sono con Damiano Tommasi.
«In molti Comuni Iv ha deciso di andare con la destra, e questo non aiuta il campo largo, evidentemente», ha detto Letta. Se a livello locale l’alleanza giallorossa tiene, a Roma le distanze appaiono sempre più marcate: dalle titubanze di Giuseppe Conte nell’appoggiare Macron ai distinguo sulle armi in Ucraina, fino allo strappo sul decreto aiuti. «Andare a dividere, a distinguere in ogni momento, ogni cosa, rende il governo più debole», ha commentato Letta, pensando anche alle posizioni di Lega e Iv.
Ai piani alti del Pd, il ragionamento sul campo largo è semplice: con questa legge elettorale, è una scelta quasi obbligata per battere la destra nel 2023. E quindi le polemiche lasceranno il tempo che trovano. A meno che, le regole del gioco non cambino. Non è un caso se le fibrillazioni fra alleati stanno dando forza a chi, nel Pd, spinge per il proporzionale. Il fronte, sempre più ampio, comprende praticamente tutti i big, e sta facendo breccia nel segretario Enrico Letta, storicamente sostenitore del maggioritario. E anche nel M5s c’è voglia di proporzionale, funzionale a non legarsi troppo a un Pd che punta ad essere il perno della coalizione.