Il presidente turco Racep Tayyip Erdogan ha annunciato che intende rimandare in Siria un milione di profughi, fornendo loro almeno 100mila case e servizi nella provincia settentrionale di Idlib. L’area, distrutta come molte altre in 11 anni di conflitto, è controllata da milizie armate sostenute da Ankara, che lanciò un’operazione militare in questa regione nel 2019. La costruzione di case e infrastrutture, ha chiarito il capo dello Stato, sarà portata a termine con l’aiuto di istituzioni e ong internazionali. Ad oggi 3,7 milioni di siriani vivono in Turchia, che si configura come il Paese che accoglie il maggior numero di profughi siriani fuggiti dalla guerra a partire dal 2011. Nel 2015, dopo che il conflitto civile vide l’ingresso di potenze straniere e dell’Isis, si registro un inedito esodo di richiedenti asilo che si fermarono principalmente nei paesi vicini, tra cui Turchia e Libano.
L’Unione europea, per gestire il fenomeno, strinse con Erdogan un accordo da 3 miliardi di euro, poi rinnovato per la stessa cifra, con cui il capo di stato si è impegnato a trattenere i profughi sul suo territorio. Già da qualche anno però la Turchia è accusata dalle organizzazioni per i diritti umani di rimpatriare i profughi siriani sebbene in Siria le condizioni di sicurezza non siano garantite.
C’è anche chi ha denunciato rimpatri forzati: tra questi c’è la rete Syrians for truth an justice, secondo cui tra il 2019 e il 2021 almeno 155mila siriani sono stati riportati nel Paese anche dopo arresti della polizia avvenuti in casa, e dopo aver subito minacce o violenze per firmare il documento del “ritorno volontario”. Il gran numero di profughi siriani in Turchia ha suscitato forti tensioni con le comunità locali, alimentate dalla crisi economica e la disoccupazione, al punto che Kemal Kilicdaroglu, leader del partito di sinistra e liberale Chp, ha promesso che se sarà eletto alle presidenziali del 2023 rimpatrierà i siriani.