Nei casi in cui si venga a conoscenza di violenze o abusi sessuali per il tramite di segnalazioni che giungono da terzi (vicini di casa, contesto scolastico, social network, operatori socio-sanitari, pediatri, medici di base, ecc.) l’operatore è tenuto a mettere in atto d’iniziativa o su delega dell’A.G. le indagini dirette che lo porteranno ad avere un primo contatto con la persona offesa, senza che quest’ultima lo richieda.
Soprattutto se si opera in un contesto familiare e relazionale, è doveroso considerare che una vittima che non ha maturato ancora la consapevolezza della propria condizione, che pertanto non ha intenzione di denunciare, potrebbe negare l’esistenza di un problema o essere non collaborativa. Questa consapevolezza impone a chi opera di avere un approccio cauto e diverso rispetto a quello che terrebbe di fronte ad una vittima che si presenta in caserma spontaneamente, poiché il ruolo dell’investigatore potrebbe essere vissuto e percepito da quest’ultima non con una finalità d’aiuto, ma come un’intromissione nel proprio contesto familiare ed una minaccia alla sua stabilità.
Premesso quanto sopra, il momento della convocazione ed il primo approccio sono dunque fasi molto delicate, le cui modalità attuative devono essere valutate accuratamente sulla base delle informazioni in possesso, al fine di garantire la necessaria riservatezza e tutela della vittima.
(Fonte: Annales Doctrinae et iurisprudentiae canonicae XI – La Sessualità nella riflessione teologica nella proposta medica e nella dimensione giuridica – Libreria Editrice Vaticana)