Il 15 gennaio i trenta anni dall’arresto del boss mafioso Totò Riina, il giorno dopo, l’ultimo padrino di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, latitante proprio da 30 anni, viene assicurato alla giustizia.
Un arresto così eclatante che ha l’ effetto di rinvigorire l’attenzione su un fenomeno che invece tende ad agire sotterraneamente. L’arresto dà un segnale ben preciso: lo Stato ci ha messo trent’anni, i problemi ci sono stati, ma alla fine ci è arrivato.
Continua la tradizione delle lunghe latitanze dentro casa. Matteo Messina Denaro è stato arrestato mentre tentava, ancora una volta, la fuga dal bar della clinica dove da due anni, dicono in forma anonima , il boss era in cura.
Si stava facendo seguire sotto il falso nome di Andrea Bonafede, operato per un tumore, si era recato in clinica per un tampone anticovid prima di sottoporsi a un day hospital.
Cappellino bianco, cappotto di montone e occhiali da vista scuri, Matteo Messina Denaro è stato scortato a piedi per un centinaio di metri dalla clinica fino al furgone dei Ros che lo ha portato via. Al boss, quasi a ribadire la forza dei carabinieri che avevano ben circoscritto tutto il perimetro attorno alla clinica, non sono state messe le manette.
Grandissima soddisfazione per un risultato storico nella lotta alla mafia, che ha assicurato alla giustizia un pericolosissimo latitante.
Una giornata straordinaria per lo Stato e per tutti coloro che da sempre combattono contro le mafie. La mafia fa notizia se uccide e o in caso di arresti eclatanti, ma dovrebbe essere sempre una priorità per la politica perché non è un problema risolto.
Non ci si può avventurare in considerazioni aleatorie sulle conseguenze di questa cattura, ma una cosa si può dire: è un successo di cui si sentiva veramente il bisogno, però non illudiamoci che finito Matteo Messina Denaro sia finita la mafia, il contrasto deve continuare, l’attenzione deve continuare con la soddisfazione di avere fatto un bel colpo, di immagine e di sostanza.
ROSSELLA PELLEGRINO
