Ultimi fuochi d’estate, la caldissima estate 2023 alla quale, coerentemente, farà seguito il più tradizionale “autunno caldo” che già fa capolino qua e là nelle veline lette dai volti noti dell’informazione televisiva di regimi (non è un errore: in Italia ce n’è più d’uno – ndr).
E così, tra promesse di bonus da una parte, e minacce di scioperi generali dall’altra, ci prepariamo ad assistere ai prossimi mesi di show business che dovrebbero farci riflettere su alcune patologie della classe politica italiana, nonché sulla sua inadeguatezza che tocca altissime vette di pericolosità per noi contribuenti. Definizione, questa, che però non fotografa più la posizione del cittadino, che invece è diventato di fatto un “azionista” dello Stato-Impresa. Mi spiego meglio.
Faccio l’esempio più vicino al periodo in corso: gli eventi di piazza, caratteristica attività imprenditoriale dell’estate e attrattore turistico delle nostre città, d’arte o meno che siano.
La cosa funziona (oddio, non è che funzioni proprio bene, eh…) così:
il Comune “X” o la Regione “Y” organizzano il cartellone di una manifestazione. Aspettate, perché non è neanche proprio così.
Un’azienda privata del settore propone l’evento o vince il bando emesso per il Festival “XY”. A questo punto, si mette al lavoro e comincia a pagare in anticipo tutte le spese necessarie per dare vita a quella che i Borbone chiamavano “Macchina da Festa”: dal cachet degli artisti al noleggio del palco, dal service luci/audio al personale che lavora dietro le quinte della serata, e così via.
L’estate volge al termine, la rassegna, pure. Adesso comincia la terza fase del lavoro, la più difficile: farsi pagare! Eh si, perché è proprio quello Stato che predica la legalità e applica interessi di mora non irrilevanti per ogni giorno in più impiegato a pagare un tributo, a far attendere minimo due anni quell’azienda che ha fatto il bancomat delle sue istituzioni locali.
Lo possono testimoniare, sia le aziende che lavorando ancora nel settore, sia quelle che – perseguitate dalle banche che guardano solo ai rientri propri e dai debiti contratti – hanno dovuto arrendersi e chiudere i battenti.
Ecco, questa è solo una delle dimostrazioni di come una classe politica che si comporta ed agisce da banca sia inadeguata a soccorrere e far rinascere un’economia flagellata dal doppio virus: quello del Covid e quello di un manipolo di “richiedenti asilo nella pubblica amministrazione” che si spacciano per leader politici.
Del resto, la deriva mal interpretata dello Stato-Azienda, cioè la visione di un Paese che si sarebbe dovuto gestire e mantenere da solo, vide l’alba con Lamberto Dini e Carlo Azeglio Ciampi (nella foto a destra), rispettivamente Governatore e Presidente della Banca d’Italia: due banchieri. Per giungere fino a quell’intoccabile Mario Draghi che vanta l’assenza di cuore dei banchieri come un fiore all’occhiello, dimenticandosi – o forse non rendendosi proprio conto per mancanza di conoscenza della materia (inadeguatezza) – che la politica è un fatto sociale, che ha il suo target in chi magari ha problemi a pagare un “affitto” piuttosto che valutare un “profitto”.
Dunque, per chiudere la questione, ritorniamo alla politica: stiamo bene attenti alle urne a non mandare ai posti di comando allegri ed incompetenti “manager” che giocano a fare gli imprenditori con i nostri soldi.
Non rischiando mai niente, nemmeno la poltrona.
Perché a pagare il conto, proprio come succede con le banche, siamo sempre noi.
Gino Giammarino